Intervista a Marcello Simoni: «Voce e colpi di scena. Il lettore di gialli vuole essere stupito»


DI ANNARITA BRIGANTI

INTERVISTA A MARCELLO SIMONI: "VOCE E COLPI DI SCENA IL LETTORE DI GIALLI VUOLE ESSERE STUPITO

LA REPUBBLICA MILANO


Nei libri deve succedere qualcosa», dice Marcello Simoni anticipando i contenuti del suo intervento a Bookcity (dal 13 al 19 novembre). Lo scrittore parlerà delle "regole del giallo perfetto" a partire dal suo nuovo giallo storico, nero fin dal bordo delle pagine, illustrato dall'autore, La taverna degli assassini (Newton Compton). Un omicidio nel Granducato di Toscana nel 1793. Il castello di un nobile, sorto su un'abbazia. Tutti sospettati e una coppia di investigatori, che risolverà il mistero: il precettore Vitale Federici e il suo devoto discepolo, Bernardo della Vipera.


Simoni, come nasce il suo investigatore?

«Tornavo da una presentazione a Urbino, qualche anno fa, verso Natale. Mi chiamò il mio editore e mi chiese un romanzo breve, con atmosfere diverse da quelle mie solite. Così nacque questo personaggio del Settecento, di origine urbinate, di una famiglia nobile estinta. Ha sui trent'anni. Ha viaggiato, ha fatto esperienze, ha intrecciato amori. Gli ho affiancato Bernardo, più giovane di lui, ingenuo. Mi piace quando nei gialli il mistero è analizzato da occhi inesperti, goffi. Quando Bernardo giunge sul luogo del delitto, gli offrono il brodo, ma lui chiede latte e biscotti».


C'è un passaggio del romanzo in cui Federici si contrappone al nobile che lo ha assoldato per svolgere l'indagine.

«Il contrasto tra loro è palpabile e non ha a che fare con il caso del cadavere trovato nella vigna. Riguarda il primato che ciascuno dei due pretende d'imporre sull'altro. L'intelligenza contro la nobiltà. L'agilità di pensiero contro il privilegio del sangue. Federici si sente escluso da un mondo a cui apparteneva. È attratto dall'aristocrazia, ma disprezzato dalla stessa. Non ha proprietà, non ha possedimenti. Quando arriva al castello, lo fanno entrare dalla porta di servizio, ma ha le doti per risolvere il mistero».

Quanto c'è di Umberto Eco in questa storia ricca di colpi di scena?

«Eco ha lo stesso peso per me di quello che Agatha Christie e Conan Doyle avevano per lui. È un modello con cui mi devo confrontare, grazie al quale vado a definire meglio il mio stile. Io scrivo gialli prima di tutto votati all'intrattenimento. Voglio che la lettura sia semplice e non spigolosa, non costringo il lettore a uno sforzo eccessivo. Troppi input dati dal romanzo possono rovinare il divertimento della lettura. Non sminuisco la gravità del crimine, ma sono gialli confortevoli, accoglienti. I miei personaggi ricordano le rotondità di Boterò».


Quindi, come si scrive il giallo perfetto?

«Non so se esiste il giallo perfetto. Non sono un grande lettore di gialli. Li leggo in maniera distratta. Mi colpiscono le atmosfere. I personaggi non si devono muovere in maniera rigida, secondo uno schema, come se fossero pedine. E i noir introspettivi, basati sul "perché l'ha fatto", stanno stancando. Il lettore di gialli vuole essere stupito».

Quale consiglio darebbe ad un aspirante giallista?

«Elaborate uno stile personale: quando copiate, perdete l'occasione di trovare la vostra voce. Non autopubblicatevi. Iniziate magari da un piccolo editore. E fate succedere qualcosa. Bisognerebbe mettere un colpo di scena ogni cinque pagine. Vale anche per i libri non di genere: non mi piacciono le storie piatte». 

 

 


05/11/2023

Scarica file PDF allegato