ANDREA FREDIANI: “LA SFIDA DI SCRIVERE UN ROMANZO STORICO CHE CATTURI COME UN THRILLER”


“Dove sta scritto che un romanzo storico non possa tenere il lettore col fiato sospeso quanto un thriller?” Su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore e divulgatore Andrea Frediani, che torna in libreria con “I lupi di Roma”, proposto da Massimo Lugli al premio Strega 2021

 

Se è vero che non esiste un romanzo in grado di accontentare tutti i palati, è ancor più vero che non esiste un romanzo storico capace di soddisfare tutti i lettori. Se la ricostruzione del contesto e dell’epoca in cui è ambientato è accurata e ricca di dettagli, il ritmo rallenta inesorabilmente e la narrazione ne risente: il contesto finisce per prevalere sui personaggi e sulla trama, richiamando più un saggio che un romanzo. Se invece il contesto è appena accennato, a favore di una trama accattivante e di un’azione avvincente, l’autore sarà accusato di superficialità o perfino di ignoranza.

Nel primo caso, gli appassionati di storia – gli stessi, talvolta, che vanno a vedere un film storico per svelarne le inaccuratezze e gli errori – apprezzeranno la lettura, ma i lettori generalisti la considereranno letteratura di genere e non vi si accosteranno neanche; oppure, troveranno il romanzo noioso. Nel secondo caso, il romanzo avrà più speranze di raggiungere un vasto pubblico, ma attirandosi il disprezzo degli appassionati di storia, le cui recensioni potrebbero risultare addirittura feroci.

Scrivere un romanzo storico, pertanto, pone seri problemi di comunicazione a chi, come me, ha fatto della divulgazione storica un mestiere. Nel passato a prevalere è stata senz’altro la prima corrente, ed è principalmente per questo motivo che il romanzo storico, a dispetto del successo di alcuni autori, viene ancora considerato letteratura di genere. Fino a tutto il XX secolo, infatti, i romanzieri tenevano molto a dimostrare di essersi ben documentati, e sciorinavano lunghe descrizioni di come mangiavano, vestivano o interagivano i nostri avi, soffocando la narrazione. Dopo il successo di un film come Il gladiatore di Ridley Scott, e di un romanzo come I pilastri della terra di Ken Follett, invece, gli scrittori hanno gradualmente imparato a scrivere in una forma più “cinematografica”, e quindi con un minor numero di dettagli, privilegiando l’intreccio e i personaggi.

Ovviamente, tutto ciò ha prodotto tanti libri dozzinali, con protagonisti anacronistici e interscambiabili che talvolta, pur rivestendo i panni di centurioni e legionari, potrebbero benissimo essere scambiati per marines americani a Okinawa; oppure, con la perpetuazione di luoghi comuni ormai smentiti dalla storiografia, quali lo ius primae noctis o la gratuita crudeltà di certi imperatori romani. I lettori non imparano la storia da questo genere di volumi, anzi spesso vengono messi fuori strada, ma si divertono, e nella migliore delle ipotesi ai più sensibili tra loro viene voglia di approfondire l’argomento, con saggi o romanzi più strutturati.

Ma quando il connubio tra ricostruzione e narrazione riesce, ne vengono fuori volumi che rendono un servigio alla storia, perché riescono a raggiungere un pubblico più vasto dei soli appassionati e a fare quindi opera di divulgazione come neppure un insigne storico accademico potrebbe mai fare.

La sfida è sempre attuale, ed è tanto più ardua quanto più complesso è il periodo storico che costituisce l’ambientazione di un romanzo e quanti più ne sono i protagonisti. Figuriamoci quando si tratta di un’intera dinastia. Ed è proprio il problema che mi si è posto nella stesura de I lupi di Roma. Il medioevo italiano di fine XIII secolo è una società in profonda evoluzione, contrassegnata dalle lotte tra guelfi e ghibellini, dagli intrighi per la formazione dello Stato della Chiesa e per l’autonomia del papato dalle dominazioni straniere, dal sorgere delle signorie, dalla diffusione delle eresie, insomma da tutto ciò che traspare nella lettura della Divina Commedia. E la famiglia di cui ho raccontato le vicende, quella degli Orsini, era all’epoca al culmine del suo potere e della sua influenza, grazie al pontificato di Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini.

Difficile inquadrare le loro gesta in un contesto tanto ricco – un Medioevo di cui si sa tanto, molto lontano dai cosiddetti “secoli bui” che costituiscono un altro dei luoghi comuni sfatati della storia – senza evitare che esso sia troppo presente; difficile rappresentare i vari protagonisti senza ingenerare confusione nel lettore, per la congerie di intrecci dinastici, parentele, alleanze e incarichi istituzionali; difficile, infine, dare ritmo alla vicenda e renderla avvincente, con tutti questi parametri e vincoli da rispettare. Ma poiché il mio primo intento è convincere la gente che la storia è appassionante, ho comunque puntato a mediare tra la ricostruzione accurata e il ritmo incalzante. Spero pertanto di aver realizzato un’opera avvincente e, allo stesso tempo, istruttiva, un binomio che dovrebbe essere l’essenza della divulgazione storica… Non ne avrei avuto i mezzi, una ventina di romanzi fa; ma adesso, col mestiere che ho acquisito negli anni, era una sfida che dovevo affrontare. In fin dei conti, dove sta scritto che un romanzo storico non possa tenere il lettore col fiato sospeso quanto un thriller?


02/03/2021

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