Anna Premoli: così Bridgerton ha dimostrato che i romance sono (anche) una questione femminista


La celebre autrice italiana di romanzi rosa riflette, in questo testo scritto in esclusiva per D.it, sul successo della serie e traccia il punto di congiunzione tra un romanzo non recentissimo (quello di Julia Quinn), una serie televisiva in costume e l'evoluzione inarrestabile che il genere rosa ha vissuto in questo periodo, fino a diventare, da passatempo per casalinghe annoiate, un modo per parlare di emancipazione femminile

 

Lo confesso: quando Netflix ha avuto la brillante idea di far uscire il giorno di Natale Bridgerton, una nuova serie in otto puntate ispirate al romanzo di Julia Quinn, Il duca e io, e tutti – ma letteralmente tutti – hanno iniziato a parlarne, sono rimasta stupita. Un romance storico ambientato in epoca Regency capace di inchiodare vere e proprie masse a uno schermo? Cosa ne è stato del vento del femminismo?, mi sono detta. Possibile che si sia fatto soppiantare da corsetti e merletti?

Nel momento in cui ne scrivo, Bridgerton è stata vista da più di ottanta milioni di persone, con tanto di scettro scintillante di serie più vista nella storia di Netflix. Il record è impressionante, inutile negarlo. I numeri contano, in economia come in televisione, e infatti rassicuro i numerosissimi fan che la seconda stagione ci sarà.

Quindi, viste le premesse, non ho potuto fare a meno di sedermi a mia volta sul divano e immergermi nello scintillante mondo della famosissima serie, occhi bene aperti e nessun pregiudizio, per rimanere in tema Jane Austen (che, oltre a essere considerata un’antesignana della letteratura rosa, nella Reggenza visse davvero e scrisse una serie di romanzi oggi amati per lo più dalle donne, ma che a lungo ebbero lettori per lo più uomini). D’altronde, chi scrive romanzi rosa potrebbe avere molto da ridire ancora oggi riguardo i pregiudizi che aleggiano sul genere e sulle sue eroine, e di certo non vuole macchiarsi dello stesso peccato.

Il duca e io è un romanzo del 2000, non recente dunque, ed è stato scritto prima e prodotto poi da due americane dallo spirito vivace (per quei pochissimi che non lo sapessero, la produttrice è la famosissima Shonda Rhimes, che ha firmato successi come Grey’s Anatomy). Cito l’anno di uscita perché Julia Quinn è considerata a tutti gli effetti una delle apripista del romance moderno, sebbene i suoi siano in verità romanzi storici. Potrebbe sembrare un controsenso, eppure è proprio il bello del romance: da oltre vent’anni il genere non ha fatto altro che evolversi e osare, scardinando tutti i cliché di cui si tendeva ad accusarlo. L’adattamento televisivo curato dalla Rhimes, oltre a essere deliziosamente fresco e frizzante, non smette di osare e alzare l’asticella: qualcuno potrà storcere il naso di fronte alla scelta di un cast multietnico nell’Inghilterra dell’Ottocento, ma l’esperimento funziona e dona vivacità e brio alla serie.

Qual è quindi il punto di congiunzione tra un romanzo non recentissimo, una serie televisiva in costume e l’evoluzione inarrestabile che il genere rosa ha vissuto in questo periodo, diventando, da passatempo per casalinghe annoiate, vero baluardo delle battaglie femministe? Sintetizzando, sarei tentata di rispondere l’ironia e il sarcasmo, ma non sono certa che basterebbe a rendere appieno la portata del fenomeno. C’era un tempo nemmeno troppo lontano in cui si diceva che le donne fortemente ironiche facessero scappare gli uomini, perché si sa che nulla atterrisce gli uomini più dell’umorismo femminile. Per la serie, il confine tra ironia e irrisione è labile e non sia mai che al genere maschile tocchi difendersi dalle battute taglienti delle donne. Orrore…

Julia Quinn ha gettato le basi del romance moderno proprio partendo dal dialogo brillante e lo ha fatto in modo così delizioso che ha innescato un vero e proprio fenomeno, una rivoluzione femminista che, per incredibile che sia, è partita dai corsetti e dai merletti. La vera parità è questione di duelli verbali brillanti, si potrebbe dunque dire, tanto che è l’abilità dialettica che emerge dalla sceneggiatura, a rendere sexy e attuale una serie storica come quella di Netflix. Perché Bridgerton è tutto questo: pungente, intelligente, capace di offrire svago in un momento storico in cui abbiamo bisogno di leggerezza quasi più dell’ossigeno che scarseggia ovunque.

Il ritmo narrativo incalzante è un altro elemento modernissimo sia nei romanzi della Quinn che nell’adattamento della Rhimes, ed è oggi uno dei perni della narrativa che ci ostiamo a definire “rosa”. Per non parlare del sesso, che si concentra sul punto di vista femminile come mai prima era stato fatto; il sesso è potere, ci suggerisce Bridgerton a un certo punto, e la vera emancipazione femminile non può che passare attraverso una profonda conoscenza del proprio corpo e del proprio piacere, cosa che le lettrici del genere sanno benissimo.

Concludo con il pezzo forte: il duca di Hasting, interpretato da un Regé-Jean Page in stato di grazia. Nulla impedisce alle donne moderne ed emancipate di ammettere che certe volte un bell’uomo dalla battuta pronta è tutto quello che serve per sollevare la giornata. Nei romanzi, in televisione e anche nella vita.

Chi è Anna Premoli

C'è chi l'ha definita la regina del romance italiano. Autrice da oltre 900 mila copie, ha vinto il premio Bancarella con il romanzo d’esordio "Ti prego lasciati odiare" e da lì in avanti ha trasformato ogni suo romanzo - testi in cui si incontrano romanticismo e ironia - in un bestseller. In questi giorni arriva in libreria "Tutto a posto tranne l'amore" (Newton Compton, 9,90 euro), storia di Ludovico Paravicini e di come, anni dopo il naufragio del suo matrimonio, si trova a riconsiderare la pessima opinione che aveva della sua ex moglie. Tutto a posto tranne l'amore è l'ultimo romanzo di Anna Premoli.

 


08/02/2021

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