Attenti alle guerre di religione. E alla Brexit


Il nuovo romanzo di Kate Mosse racconta una storia d’amore nella Francia lacerata dallo scontro tra cattolici e ugonotti: «Non pensavo avesse tanti punti di contatto con l’attualità.»

Di Enrico Franceschini

LONDRA. Come sopravvivere e amare, nell'era di feroci scontri religiosi e spaventose migrazioni di massa. Suona come una sfida drammaticamente attuale, cronaca dei nostri giorni. Invece è il tema di La città dei labirinti senza fine, nuovo libro di Kate Moss (in Italia pubblicato da Newton Compton), una storia ambientata nella Francia del 1562 al tempo del sanguinoso conflitto fra cattolici e ugonotti. «Certe cose non cambiano mai», commenta la scrittrice che con i suoi best-seller ha rilanciato il romanzo storico, vendendo cinque milioni di copie in tutte le lingue e dimostrando che si può raccontare il passato senza trattare soltanto di re e principesse. «Sono le persone normali a mandare avanti il mondo», afferma nella sua casa di Chichester, l'antica cittadina del West Sussex fondata dai Romani dove è nata, cresciuta e vive per parte dell’anno. «E soprattutto lo mandano avanti le donne, senza le quali, mentre gli uomini facevano le guerre, la vita si sarebbe fermata».

Dopo I codici del labirinto, il suo più grande successo, un altro dedalo di intrighi e passioni. Come le è venuta l'idea? 
«Ero a Città del Capo per un festival letterario e ho notato una strada chiamata Huguenot Street. Poi ho scoperto che lì vicino c'erano dei vigneti di vino francese. E così ho appreso che dopo le guerre di religione alcuni protestanti francesi scapparono in Sudafrica per sfuggire alle persecuzioni. Quando mi sono resa conto che alcuni di loro fuggirono dalla Linguadoca, la regione nel profondo sud della Francia dove da tanti anni ho una casa – a Carcassonne - e dove ho ambientato altri miei romanzi, ho capito che avevo già la trama del prossimo libro».

Nella guerra di religione del suo nuovo libro i cattolici sono i cattivi e gli ugonotti, cioè i protestanti, i buoni?
«È sempre sbagliato semplificare: le atrocità non sono mai solo da una parte. Anche perché le guerre di religione non sono una questione di fede, bensì di potere. E tuttavia, nel caso specifico, bisogna dire che gli ugonotti erano una minoranza che fu spazzata via dall'intransigenza del cattolicesimo».

Chi erano gli ugonotti?
«Protestanti figli della Riforma di Lutero, come gli anglicani in Inghilterra o i calvinisti olandesi. Dopo il famoso massacro della Notte di San Bartolomeo, nel 1572, i sopravvissuti furono costretti ad andarsene, scomparendo dalla Francia».

Lei è religiosa?
«Sono cresciuta in una famiglia che lo era parecchio: ho una zia suora e un nonno vicario. Una volta diventata adulta ho messo in dubbio molte delle cose in cui credevo. Continuo a pensare che noi europei siamo il prodotto della civiltà cristiana: un valore che va al di là di questa o quella branca del cristianesimo. Ma ho scritto questo libro anche per dimostrare che, prima di essere cattolici o protestanti, le persone sono esseri umani, uomini e donne, tutti simili fra loro».

Minou e Puet, i protagonisti della sua storia, ricordano Giulietta e Romeo.
«È una situazione universale, che da Shakespeare in poi si ripete ovunque: un ragazzo e una ragazza che si amano, pur appartenendo a famiglie nemiche, pur essendo diversi, perché uno è ricco e l'altra povera o perché, come in questo caso, lei è cattolica e lui protestante, e così via. Ma il cuore non ha di queste etichette. Va dove lo portano i sentimenti, quali che siano le conseguenze».

Il suo romanzo racconta di scontri religiosi e grandi migrazioni di quattro secoli fa. La cronaca sembra offrire gli stessi elementi. Dunque non è cambiato niente?
«Quando ho cominciato a scriverlo non mi ero subito resa conto che poteva avere dei paralleli con la realtà odierna. Purtroppo, se ora mi guardo intorno, vedo che ne ha tanti. Il progresso non procede in modo lineare. Il mondo va avanti e indietro, come un pendolo: e ogni volta, prima che l'oscillazione termini al centro, dove c'è posto per tutti, il pendolo va all'estremità, spingendo verso estremismo e fanatismo».

Perché scrive romanzi storici?
«Ogni volta che mi trovo a calpestare una strada di ciottoli, a visitare una cattedrale vecchia di secoli, sento la curiosità di immaginare chi ci è passato prima di me. Le voci del passato hanno molto da raccontarci. E possono aiutare a comprendere meglio il presente».

Ha letto Il nome della rosa?
«Insieme a Cime tempestose di Emily Bronte è forse il romanzo che mi ha ispirato di più. Umberto Eco ha aperto la strada, narrando una storia avvincente di secoli fa senza bisogno di re e cavalieri. È quello che cerco di fare anch'io».

I suoi romanzi hanno sempre una donna in primo piano. E lei ha anche fondato un premio letterario riservato alle scrittrici.
«Le donne mandano avanti il mondo, solo che a lungo sono stati quasi solo gli uomini a raccontarlo. Oggi il panorama letterario è molto cambiato. Ci sono tante donne protagoniste di romanzi. E tantissime scrittrici. Al punto che qualche scrittore maschio si firma con uno pseudonimo femminile, pensando che serva a vendere più copie».        

Insieme ai suoi colleghi Ken Follett,, Lee Child e Jojo Moyes, in autunno girerà l'Europa in un tour dell'amicizia per riavvicinare i popoli europei in tempi di Brexit [thefriendshiptour.con] farà tappa il 17 novembre a Milano per BookCity). Qual è il vostro messaggio?
«Non badate ai politici che fanno propaganda alla Brexit in televisione. In Inghilterra c'è tanta gente che continua a sentirsi europea e affratellata ai Paesi al di là della Manica. Mio padre ha combattuto per liberare l'Europa nella II guerra mondiale, tanti suoi commilitoni hanno perso la vita: sarebbero morti invano, se l'Europa tornasse a dividersi. Questo significa per me, più di ogni altra cosa, l'Unione Europea: pace. Ed ecco un'altra lezione che la storia può insegnarci».

Fonte: Il Venerdì 04/10/2019


04/10/2019

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