Si fa presto a dire fantasy
Una scrittrice di genere attiva sui social, che ora pubblica un nuovo romanzo, spiega come sta cambiando il canone
di Francesca Tamburini su Robinson
Un tempo il male aveva un volto. Oscuro, indiscusso, inconfondibile. Serviva a dare forma all’ignoto, a semplificare il mondo. La letteratura fantastica nasce così: come mito, come racconto archetipico, dove la luce e l’ombra non si mescolano mai. Il mondo era diviso in due, e saperlo bastava.
Questo schema si radica nel fantasy classico. Ne Il Signore degli Anelli, Sauron è il male assoluto, Frodo l’innocenza che resiste. La missione è chiara, l’eroe è puro, il nemico non ha voce. Eppure, anche lì, le sfumature esistono: Gollum, Boromir, lo stesso Frodo mostrano crepe e dilemmi. Ma restano ai margini. Il cuore della storia segue un tracciato netto, in un’epoca che, dopo le guerre mondiali, aveva bisogno di ordine.
E questo funzionava. Il lettore sapeva da che parte stare. Il bene e il male erano già scritti nella trama. Il fantasy diventava un rifugio, ma anche una forma di orientamento morale: offriva certezze, consolazioni, verità chiare. Il male era l’altro. Il bene, chi lo combatteva. Ma col passare del tempo — e con l’evoluzione dei lettori — la realtà si è fatta più complessa. O forse, semplicemente, abbiamo cominciato a guardarla meglio.
Viviamo in un’epoca dove le certezze vacillano. Le crisi non hanno più un solo colpevole. Le storie si fanno sfaccettate, e il fantasy cambia con loro. Non basta più sapere da che parte stare: serve sapere perché. La domanda non è più “chi è il buono?”, ma “cosa significa esserlo davvero?”
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08/09/2025