FEDERICA BOSCO
IL MIO GATTO MI DETESTA
CONFIDENZE
Siamo noi ad adottare un micio o lui a scegliere noi? Basta leggere le prime pagine del nuovo romanzo di Federica Bosco, qui di seguito, per capire come stanno le cose. La parola a Sir Thomas, magnifico esemplare di Maine Coon dal pelo rosso, alle prese con il tentativo di addestrare bene la sua Umana.
Sono nato il 12 agosto del 2020. Lo stesso giorno di Schrödinger, quel tizio che sosteneva che un gatto chiuso in una scatola può essere sia vivo che morto. Ora, a parte il fatto che, per venirtene fuori con un'idea del genere, ti devi essere fumato l'erba gatta, lo sanno tutti che un gatto lo potete chiudere dove vi pare e sarà sempre vivo (e Stephen King l'ha ampiamente dimostrato!). Comunque. Facevo parte di una cucciolata gigantesca di quindici Maine Coon, scodellati da mia mamma e mia zia, in seguito a una scommessa su chi ne faceva di più (ha vinto mia zia, per uno). La nostra foto di famiglia è talmente fitta che non è bastato un divano a tre posti per contenerci tutti. Io sono quello a sinistra, sul bracciolo, con l'assetto da bulldog e le orecchie a U. Ho trascorso i primi tre mesi coi miei fratelli e sorelle a imparare le basi della convivenza civile: fare a botte e mangiare il più possibile. Il giorno in cui sono riuscito a finire la ciotola, tenendo contemporaneamente ferme le teste di due miei fratelli, ho capito che ero pronto ad affrontare il mondo. Dovevo pertanto escogitare un piano di fuga, e l’occasione perfetta mi si è palesata un giorno di novembre, quando un'umana alta e bizzarra è entrata in casa dell’Ostetrica, cioè l'umana che ci ha fatti nascere. Appena si è seduta per terra, tutti i miei fratelli e sorelle (ruffiani!) l’hanno circondata in un tripudio di miagolii, fusa e moine, dove lei si è persa irrimediabilmente. Era talmente confusa che non sapeva chi scegliere. Come se fossero gli umani a scegliere i gatti, e non viceversa... Voi non ve ne accorgete, ma siamo noi a condurre il colloquio di lavoro: quali sono le vostre referenze? Avete già lavorato al servizio di altri gatti? Com'è casa vostra? Ci sono altri animali? Cani? Bambini? Terrazze? Giardini? E soltanto dopo, a seconda delle vostre risposte, ma soprattutto delle nostre esigenze, veniamo a strusciarci contro di voi. Questa umana per me era perfetta: zitella, di mezza età, ma non decrepita, con una residenza spaziosa, caldo parquet color mogano in tono con il manto, due terrazze abitabili e un lavoro da casa, così da essere sempre ai miei ordini. Le sue richieste erano fortunatamente quasi tutte a mio vantaggio: voleva un gatto maschio e rosso, perciò ho sbaragliato di default il 75% della concorrenza senza fare assolutamente nulla.
Occorreva comunque eliminare il restante 25%, composto dai miei fratelli Ulisse, Laerte e Argo (ebbene sì, la cucciolata era ispirata all'Odissea). Uno zoccolo discretamente duro, poiché tutti e tre dotati, come il sottoscritto, di inarrivabile bellezza. Inoltre, l'umana aveva una terza richiesta, che era quella che mi creava più difficoltà: voleva un gatto affettuoso. E, diciamocelo, la tenerezza non è proprio la mia feature principale. Dovevo quindi agire d'astuzia e battere gli altri fratelli rossi sul tempo, prima che cominciassero coi loro teatrini standard fatti di zuccatine e nasate che sugli umani producono sempre l'effetto "ommioddioooo" con tanto di occhi a cuore.
C'era una sola cosa da fare: dovevo lavorarmi l'Ostetrica, affinché perorasse la mia causa presso l'umana da me prescelta. Così mi sono lanciato in un fitto corteggiamento di una settimana, che mi ha presto fruttato l'appellativo di "pomicione". Impegnativo, ma, come si dice: "Parigi vai bene una messa". E infatti, quando l'umana è tornata, e ha chiesto all'Ostetrica chi fosse il più tenerone tra noi, lei ha immediatamente risposto: «Telemaco!». Sì, era il mio nome di battesimo. No, non avete il permesso di ridere. Fatto sta che mancava poco alla scelta definitiva, per cui non mi è rimasto che calare il poker. Prima mi sono posizionato su un trespolo in salotto e ho verificato che l’Umana mi notasse. Poi, appena è andata in cucina con l’Ostetrica, mi sono infilato nel trasportino lasciato aperto per terra. Lo so, sono un fuoriclasse. I miei fratelli hanno protestato dicendo che giocavo sporco e che ero un ruffiano paraculo, ma io non li ho considerati e mi sono acciambellato fingendo di dormire, pregustandomi la riuscita del mio piano perfetto. Appena l'umana è tornata in salotto e mi ha visto lì dentro, è rimasta impietrita e ha balbettato una serie di: «Oddio» e «Ma è destino!», a cui l'Ostetrica, strizzandomi l'occhio, ha risposto: «Eh già... proprio il destino». Era fatta! Avevo scelto la mia Umana. Tempo di firmare il contratto di comodato d'uso e sarei partito alla volta della mia nuova scintillante e strepitosa vita. «Potrebbe piangere», le ha confidato l'Ostetrica prima di uscire, «perché gli mancano la mamma e fratelli...». Piangere? Sì, ma di gioia! Mezz'ora dopo ero già nella mia nuova casa che giocavo come un matto saltando sul letto come Kevin di Mamma ho perso l'aereo. Come lo so? Perché l'ho visto tre volte. Con un microchip fresco di anagrafe felina, e un biglietto di sola andata per il mondo, da quel momento in poi tutte le mie energie sono state concentrate sull'addestramento dell'Umana che, considerata l'età e gli evidenti limiti imposti dalla sua specie, ha dato frutti talvolta inaspettati.
E questo è l'inizio della mia storia.
IL MIO NOME È THOMAS. SIR THOMAS.
8 novembre 2020
Caro diario, Come anticipato, il mio nome di battesimo è Telemaco, il cui significato dal greco è "colui che combatte lontano". Valoroso guerriero figlio di Ulisse e Penelope che finisce malissimo, come tutti gli eroi epici che si rispettino. I miei genitori, Esmeralda e Xanadù, discendono da una dinastia dal sangue purissimo: Von Marquis'Zaro da una parte e Wistariantale dall'altra, vantiamo un albero genealogico rispettabilissimo. Una volta adottata l'Umana, l'ho spinta a scegliere un nome prestigioso e adatto al mio rango: Sir Thomas. Le ho quindi portato in sogno menti brillanti del calibro di Thomas Jefferson, Thomas Edison, Thomas Eliot, Thomas Mann, Tommaso il Moro e Sir Thomas Lawrence. Ma, ignorante com'è, figuriamoci se ha mai colto il nesso. Ha solo pensato di aver mangiato troppa pizza con la cipolla a cena e di non aver digerito. Allora ho provato ad abbassarmi al suo livello culturale: ho girato sul canale 34 dove davano Delitto al ristorante cinese, con Bombolo e Tomas Milian, ma niente. Buio assoluto. Finché mi cade l'occhio su una scatola di tè Sir Thomas Lipton. Ho pertanto continuato per una settimana a farla cadere dalla mensola e, finalmente, un giorno l'Umana la raccoglie ed esclama: «Sir Thomas... mmmh... ma lo sai che ti starebbe bene?» Ma li mortacci!", ho pensato. "Era ora! Ancora un po' e andavo all'università!". Dopodiché, avendo letto in uno di quei siti ingenui che pretendono di spiegare il comportamento dei gatti che basta ripetere il nome in loop e noi lo impariamo, ha preso a chiamarmi senza sosta. A parte il fatto che se il nome l'ho scelto io è ovvio che lo conosca, ma sfido chiunque a non desiderare di imbracciare un fucile sentendosi chiamare 60 volte di fila "Sirthomaaaaaas! Sirthomaaaaaaas! Sirthomaaaaas!". Inutile precisare che non ho mai risposto. Non ho nemmeno mosso un orecchio. Questo però non l'ha certo autorizzata ad affibbiarmi nomignoli idioti: Patatula, Chupito, Marnino, Tato, Gianpennacchio, Tornino, Pulii, Gattulino, Baffùli... Ogni giorno ne tira fuori un altro, nemmeno giocasse a Scarabeo. Per sua fortuna l'Umana non sa, non capendo la mia lingua, che anch'io le do un vasto numero di nomignoli, il più gentile dei quali è Babbea. Ma siccome sono un po'str...o, ho imparato a imitare una specie di gorgheggio (di cui mi servo quando voglio qualcosa) che suona come "U-màna" ma che lei interpreta come "U-mamma". Inutile dire che la manda in brodo di giuggiole. Ho il sospetto che l'addestramento sarà piuttosto faticoso. Promemoria: ordinare le mie camicie con le cifre ST
L'ADDESTRAMENTO 11 novembre 2020
Caro diario. Ho cominciato l'addestramento dell'Umana e confesso che pensavo fosse più facile. Ora capisco perché mi dicevano che bisogna adottarli da giovani. Non ho idea di come conducesse la sua vita prima di me, ma qualunque cosa facesse era senza senso. Intanto si sveglia alle 7.30, che è a dir poco scandaloso. Tutti sanno che la fascia oraria che va dalle 4.30 al sorgere del sole è la più produttiva, ma no, lei se ne sta lì dentro al letto, vestita e avvolta in tre strati di tessuto come una mummia. Ma dico io, è normale? Non solo. Quando finalmente la sveglia suona, non è che scatta in piedi e fa il suo dovere (nutrirmi), no, rimane un tempo infinito a guardare il soffitto ripetendo che non ce la può fare (a fare cosa non è dato sapere), poi si siede sul bordo del letto tutta curva, lamentandosi del mal di schiena, della cervicale e della sciatica e quando finalmente si alza e si trascina in bagno, sbatte sistematicamente il mignolo o un'anca contro uno spigolo ed elenca una serie di nomi biblici. A questo punto comincia il festival delle stranezze. Intanto fa i bisogni seduta su una sedia di ceramica bianca con l'acqua in fondo, dove risulta complicatissimo bere, se non, forse, con una cannuccia. Poi prende un bastoncino, ci spreme sopra una crema colorata, se la mette in bocca e, come tutte le mattine, si dimentica che le fa schifo, perché la sputa nel lavandino. Deve avere la memoria a breve termine compromessa. Quando finalmente passa in cucina, si prepara una tazza enorme di una roba scura che beve guardando un punto fisso nel vuoto e solo dopo si occupa di me.
Io francamente sono senza parole. È chiaro che la servitù non è più quella di una volta. Noi gatti possiamo svegliarci in qualunque momento del giorno e della notte e siamo subito performanti al 100%, flessibili, scattanti e bellissimi, anche se abbiamo dormito acciambellati in una scatola per undici ore, e soprattutto siamo già vestiti e lavati. L'unica limitazione, se proprio vogliamo, che non ci consente (ancora) di spodestare questi disadattati è la mancanza di un pollice opponibile che ci permetta di aprirci le scatolette da soli, ma appena riusciremo a supplire a questa svista, la loro estinzione sarà rapida e definitiva.
Ho subito messo in chiaro con l'Umana che questo schema andava cambiato immediatamente. Ho cominciato col resettare la sveglia alle 6.45, che è stato l'unico compromesso possibile: se si sveglia prima di quest'ora è come se tu l'avessi torturata. Per ottenere questo risultato ho miagolato come un ossesso ininterrottamente dalle quattro in poi, le sono saltato sul petto e su altri organi vitali, ma niente ha funzionato davvero, finché non ho scoperto uri altra mania degli umani: quella di coprire non solo sé stessi con del tessuto, ma anche le finestre. Minaccio quindi di appendermi a «Lasciastareletende!», come mi grida. Devono essere qualcosa di molto prezioso e raro, perché appena mi ci avvicino lei, da anziana lenta e dolorante, si trasforma in una ginnasta olimpica, si alza di scatto e mi agguanta intercettandomi al buio. Ma come fai a svegliarti sempre alla stessa ora», mi chiede tutte le mattine. Boh, guardo l'orologio. Perché, tu come fai?", vorrei risponderle. In seconda battuta, ho dovuto procedere a snellire le sue abluzioni mattutine in modo che potesse servirmi la colazione prima. Entro in bagno insieme a lei, aspetto che si metta il bastoncino in bocca, mi accomodo nella lettiera e la guardo, riflessa nello specchio, impassibile. Lei si ferma e mi fissa minacciosa a sua volta, puntandomi il bastoncino contro: «Non ti azzardare sai?», dice. Ed è il segnale: mi giro di spalle, mi metto in posizione e mollo un paio di str...i caldi, fumanti e belli puzzolenti. Ecco che lei scappa fuori dal bagno senza neanche sputare la schiuma, farfugliando: «Era meglio se mi compravo un iPhone», che a quanto ho capito costa quanto ha pagato me. Altro passaggio fondamentale dell'addestramento è limitare le sue uscite. Basta con il corso di yoga la mattina, gli appuntamenti di lavoro e il cinema una volta alla settimana. Non si esce, punto. Farglielo capire è stato più facile del previsto; a quanto ho letto su Google esiste una cosa fra gli umani chiamata "senso di colpa" che colpisce specialmente le gattare attempate, e che si attiva in maniera semplicissima: basta uno sguardo. Se sta uscendo e 10 la guardo con gli occhi tristi e dico "Umana" con la voce rotta, puoi star certo che molla la borsa per terra e disdice l'appuntamento. 11 senso di colpa si può usare per ottenere qualsiasi cosa: nuovo cibo, ore supplementari di gioco, spazio nel letto, attenzioni in più che vanno sottratte a cose e persone inutili come lavoro e amici. Fondamentale poi che io mi possa aggirare indisturbato su ogni superficie, obiettivo che ho raggiunto piuttosto in fretta se si eccettua un misterioso mobile chiamato "Scendi dal fornello che ti bruci i baffi", che pro duce una deliziosa fiammella blu a cui mi è stato tremila volte proibito avvicinarmi e che l'Umana, sempre esagerata, ha coperto con un'asse di legno. Forse ha paura che possa accendermi le sigarette. Non sa che io uso quelle elettroniche. Promemoria: controllare quanto costa un iPhone.
QUANDO IL GIOCO SI FA DURO
14 NOVEMBRE 2020
Caro diario. Uno dei requisiti indispensabili nella nostra selezione degli umani è la loro disponibilità a giocare con noi ogni volta che lo desideriamo ed essere sempre pronti a ideare nuovi divertimenti. E questo non è negoziabile. Con l'Umana ho messo subito le cose in chiaro. Come tutti i gatti rossi sono geneticamente dotato di un'infinita dose di agitazione, che non si placa con tutti i diffusori di feromoni del mondo (che poi è lei che ha insistito tanto per avere un gatto rosso, di che si lamenta?). Ho pertanto subito cominciato ad allenarla. Data la capacità della nostra razza di riportare oggetti (ho già detto che sono un Maine Coon?), l'ho subito sorpresa riportandole la pallina che mi lanciava. Lei l'ha trovata una cosa straordinaria e ha immediatamente fatto una serie di video che ha pubblicato su Instagram con hashtag idioti del tipo #gattodariporto. Ad un occhio poco attento sarà sembrato ingenuo da parte mia esibirmi in un comportamento così "canino" ed apparentemente sottomesso, ma ovviamente l'ingenua è lei: non ha capito che il gioco non consiste in me che riporto la palla, ma in lei che me la lancia. Una, due, tremila volte. Finché, sfinita e con la borsite alla spalla, si sdraia e prende un ibuprofene da 600.Ma anche se lei è stanca, io invece sono arzillo e pimpante bisogna che si inventi subito qualche altra cosa. E in fretta. Così ha ideato il gioco del tappeto volante che consiste nel trascinarmi per tutta la casa a bordo di una coperta di lana (o seduto dentro una scatola) gridando "Uiiiiiiii". Il grido "Uiiiii" è fondamentale al mio divertimento. Il difetto di questo gioco è che al quindicesimo giro è di nuovo distrutta e con la schiena bloccata (...). Un altro gioco che mi diverte molto è il nascondino, anche se non si capisce mai chi dei due è quello che cerca e chi è quello che si nasconde. Spesso tutti e due ci nascondiamo e rimaniamo dietro un muro per mezz'ora. Se però io mi nascondo molto bene e in un posto comodo, tipo in un armadio, smetto di giocare e mi addormento. In quei casi vengo risvegliato dalle grida dell'Umana che mi cerca disperata, come se io potessi passare attraverso un varco spaziotemporale ed entrare in uri altra dimensione (ovvio che posso farlo, ma non mentre gioco a nascondino). Tutti questi intrattenimenti sono spesso consecutivi e quando l'Umana si accascia, sudata fradicia, sul materasso ortopedico e prende un altro ibuprofene da 600, con relativa ulcera gastrica, il gioco è finito e il passaggio successivo è dal fisioterapista. (...). Promemoria: controllare se esiste una Playstation da usare senza pollice opponibile.
28/11/2023