Il romanzo, poi il film. Il legal thriller riparte dalla Puglia


Trasposizioni. Francesco Caringella, ex commissario di Polizia, magistrato di Mani Pulite, ora presidente di Sezione al Consiglio di Stato, ha scritto un giallo su un imputato di omicidio che dice (come quasi tutti) di essere innocente. Andrea Zaccariello se ne è innamorato e lo ha portato al cinema. Qui discutono di colpevolezza, letteratura e responsabilità del giudizio.

Conversazione tra Francesco Caringella e Andrea Zaccariello
A cura di Emilia Costantini

Un'alba livida. Il vento bagnato e freddo. Un uomo cammina, solo, nell'ultimo buio della notte. È il vicequestore Francesco Prencipe, uscito di casa per raggiungere il suo migliore amico, il giudice Giovanni Mastropaolo. Non si incontrano da quasi due anni. Due ore di macchina per un colloquio di poche parole. Una domanda. Una risposta. Ma quella stessa mattina il giudice viene trovato morto, freddato da un colpo di pistola alla testa, e il vicequestore è l'ultimo ad averlo incontrato. Solo sue le impronte nella casa, solo suo il tempo per uccidere. Non sono un assassino è il nuovo film interpretato da Riccardo Scamarcio (Prencipe), da Alessio Boni (Mastropaolo) e poi da Edoardo Pesce (nel ruolo dell'avvocato Giorgio Annichiarico) e Claudia Gerini (la pm Paola Maralfa), per la regia di Andrea Zaccariello, che firma anche la sceneggiatura con Paolo Rossi. Prodotto da Agostino Saccà, Carlo Machitella e Alessandro Passadore, verrà presentato in anteprima il 28 aprile al Teatro Petruzzelli di Bari, nell'ambito del Bif&st diretto da Felice Laudadio. Sarà nelle sale il 30 aprile. La storia è tratta dal legal thriller omonimo del magistrato Francesco Caringella, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, e già autore di saggi e di altri gialli, tra i quali uno in uscita per Mondadori, Oltre ogni ragionevole dubbio. Abbiamo incontrato lo scrittore e il regista. 

Quanto conta, Caringella, la sua professione di magistrato, e prima ancora di commissario di polizia, nel lavoro di scrittore?
FRANCESCO CARINGELLA - È un serbatoio sorprendente di storie. Ho avuto a che fare con crimini e criminali di tutti i generi: da quelli di sangue, di passioni familiari, fino ai colletti bianchi e alla criminalità economica. Dietro a ogni delitto c'è una vicenda umana molto più interessante del delitto stesso. Il crimine non è frutto di un caso, di un capriccio, ma di vite solitarie e disperate, senza ascolti, senza significato, senza affetto, che determinano il crimine stesso. Con l'esperienza e la pratica, mi sono appassionato non tanto ai delitti su cui sono intervenuto, quanto all'umanità che c'è dietro di essi. In questo caso, la storia è di fantasia, ispirata a fatti reali. Un omicidio consumato con un unico colpo di pistola, ma anche la storia giudiziaria di un processo in Corte d'Assise, nel corso del quale un poliziotto tenta di difendersi dalle prove che lo seppelliscono e dall'accusa di aver ucciso il suo migliore amico.

Cosa comporta, Zaccariello, portare sul grande schermo un romanzo?
ANDREA ZACCARIELLO - In questo caso è più complicato, perché si tratta di un romanzo scritto in prima persona. Infatti, mentre una narrazione a più voci la si adatta per immagini, qui occorre scoprire l'anima del narratore, per riportarla a un linguaggio filmico. Ciò che mi ha maggiormente colpito, nella lettura del testo, è stata la sensazione che venisse raccontato non solo un delitto, bensì un mondo interiore, che ha stimolato la mia creatività, finalizzata a descrivere quel mondo, cercando di capire non solo chi è stato a compiere l'azione omicida, ma l'attitudine psicologica che ha condotto l'assassino a compierla. Il poliziotto proclama la sua innocenza, ma non basta negare, deve lottare per dimostrare ciò che afferma contro ogni evidenza.

È il principio giuridico del cosiddetto «onere della prova»?
FRANCESCO CARINGELLA - Esatto. Nei processi non contano i fatti ma le apparenze. I fatti nessuno li conosce, se non l'assassino e la vittima: solo che il primo non ha interesse a dire la verità, la seconda non può più parlare. Dunque si giudica in base alle apparenze: d'altronde, la verità oggettiva non esiste, è la bugia raccontata meglio.

Da ciò deriva il titolo «Non sono un assassino»?
FRANCESCO CARINGELLA - Certo. Tutti gli imputati si proclamano innocenti nelle aule di tribunale: anche chi non ha speranza di venire assolto...
ANDREA ZACCARIELLO - L'ammissione della propria colpa non è facile e non credo che la confessione dia molti vantaggi...

Scrittore e regista: i rapporti sono stati facili o difficili?
ANDREA ZACCARIELLO - Di solito non sono facili... Al primo incontro mi ero presentato armato di machete, perché ritenevo fondamentale tagliare alcune parti della storia per l'adattamento cinematografico.
FRANCESCO CARINGELLA - C'erano profili narrativi da modificare. Nel mio ruolo di consulente, ho ascoltato le motivazioni e poi, leggendo la prima stesura della sceneggiatura, ho trovato meraviglioso che Zaccariello e Rossi siano stati infedeli al romanzo, senza tradirlo. Hanno apportato le necessarie variazioni narrative, cogliendo pienamente l'intimo dei personaggi e le relazioni umane tra loro cui io stesso avevo pensato scrivendo...
ANDREA ZACCARIELLO - Lo scrittore si è subito dimostrato collaborativo e conciliante: ha riflettuto su quanto gli esponevo e ha ritenuto che le mie osservazioni fossero sensate. Caringella ha una caratteristica rara in un autore: porta al guinzaglio il suo ego e non viceversa.

Insomma, perfetta comunione di intenti?
FRANCESCO CARINGELLA - Ci siamo innamorati, all'insaputa delle nostre mogli! Aggiungo che, grazie a questo film, ho acquisito credito con i miei figli, che mi considerano l'uomo più inutile della terra. Quando sono venuti sul set e hanno visto Scamarcio interrompere le riprese per abbracciarmi affettuosamente, hanno esclamato: allora papà, tu sei importante! Non conta la toga, la magistratura, i libri di giurisprudenza che ho pubblicato... l'abbraccio del noto attore è stato il coronamento della mia carriera che li ha resi orgogliosi. A parte le battute, è stata un'esperienza straordinaria, perché è la prima volta che un mio romanzo diventa un film, e spero che non sia l'ultima...
ANDREA ZACCARIELLO - Assolutamente no! Sto già lavorando al nuovo thriller giudiziario di Caringella...
FRANCESCO CARINGELLA - Oltre ogni ragionevole dubbio si svolge in una camera di consiglio, la stanza dove si riuniscono i giurati per discutere della colpevolezza o innocenza di una coppia di amanti accusati di aver ucciso il marito di lei. Riecheggia quello che considero un capolavoro, La parola ai giurati , e cioè il mistero della camera di consiglio, con tutto ciò che vi accade all'interno: sin da ragazzino, mi sono sempre chiesto che cosa accade dietro quella porta. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei aperto quella porta da magistrato.

Da un po' di tempo, i magistrati-scrittori pugliesi hanno molto successo al cinema e in tv. Come mai?
FRANCESCO CARINGELLA - Potrei rispondere che è un caso, ma forse non lo è. La Puglia è una regione che stimola suggestioni: soprattutto i baresi sono viaggiatori, navigatori che amano le contaminazioni, senza certezze. Per un magistrato, nato in questa terra, mettersi in discussione, trasferendo le proprie conoscenze in campo giudiziario in quello narrativo e poi cinematografico, è una sfida: caratteristica peculiare della gente di Puglia.
ANDREA ZACCARIELLO - Non so rispondere, sono sincero. Se si allude a De Cataldo e Carofiglio, cui si aggiunge Caringella, potrei dire, rispondendo da giudice, che il primo è un caso, il secondo una coincidenza, il terzo una prova. Non assolvo i magistrati pugliesi e dunque li condanno a proseguire nella scrittura...

Comunque, in generale, i magistrati sono facilitati nello scrivere thriller...
FRANCESCO CARINGELLA - Assolutamente sì. Un legal thriller, ambientato in Corte d'Assise richiede, oltre alla ovvia capacità di scrittura, anche la competenza giuridica per descrivere come avviene un processo. Nel nostro Paese, caratterizzato da una scarsa conoscenza delle istituzioni e da una critica spesso aprioristica nei confronti della magistratura, credo sia utile spiegare, attraverso un linguaggio non strettamente tecnico, più immediato e di facile comprensione, il funzionamento della macchina giudiziaria e la complessità del mestiere di chi deve giudicare, la sua solitudine nel momento terribile della decisione sulla vita altrui, e poi il mistero del verdetto.
ANDREA ZACCARIELLO - Ammetto che io non sarei stato in grado di realizzare questo film senza il suo libro. Pur conoscendo i meccanismi dello sviluppo narrativo giallo, non avrei mai scritto nulla di credibile sulle regole processuali. Un vero processo non è come me lo posso immaginare io o come l'ho visto rappresentato in altri film. Noi registi-sceneggiatori a volte siamo un po' superficiali nel nostro lavoro. Il processo è un rito...

Qual è stata la parte più difficile nel girare il film?
ANDREA ZACCARIELLO - Tutto è stato molto complicato, nonostante l'accoglienza della Puglia dove è stato interamente ambientato. Il legal thriller è un genere che, nel panorama italiano, non ha molti precedenti focalizzati su un processo. Non avevamo modelli cui ispirarci.
FRANCESCO CARINGELLA - Io ho soltanto un rimpianto: mia madre non potrà vederlo, essendo scomparsa un anno fa. E non potrà vedere me, suo figlio, nel ruolo di comparsa in una scena corale, quella del funerale della vittima. Sono certo che sarebbe impazzita dalla gioia e avrebbe coinvolto tutte le sue amiche. Sfido comunque tutti i miei amici a riconoscermi: la mia non è una presenza alla maniera di Alfred Hitchcock...

Non lo scrittore, ma il giudice Caringella si è mai sentito imbarazzato in qualche caso? Non il regista, bensì il cittadino Zaccariello si è appassionato a qualche caso giudiziario?
FRANCESCO CARINGELLA - Soprattutto da giovane ho sentito fortissima la paura di sbagliare e l'enormità delle conseguenze di un mio errore sulla vita dell'imputato: non si decide mai alla leggera, ogni decisione comporta una sofferenza non solo in chi la subisce, ma anche in chi la formula. Il caso di omicidio di cui era accusato un poliziotto, qualche anno fa, mi ha posto davanti alla domanda: quanto gioca il ruolo del giudice?
ANDREA ZACCARIELLO - Mi appassionai parecchio all'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina uccisa in provincia di Bergamo nel 2010. Mi colpiva l'atteggiamento di ostentata innocenza da parte dell'imputato Massimo Bossetti nei confronti di una prova tanto evidente come quella del Dna.

Si parla spesso, con dati pesanti, della crisi del cinema italiano. Paura delle sale vuote?
ANDREA ZACCARIELLO - C'è un problema di fondo: da un lato siamo grandi importatori di cinema straniero e dall'altro, avendo timore di sbagliare, si punta spesso sul remake di successi altrui. Qui si tratta di una sceneggiatura originale, qualche rischio ce lo siamo preso.
FRANCESCO CARINGELLA - Amo il cinema e amo scrivere per immagini: letteratura e cinema sono un po' la stessa cosa. A volte però, cinema e letteratura italiani non riescono a sorprendermi, perché non esplorano territori nuovi.
ANDREA ZACCARIELLO - Questo film cerca di esplorarli. Ci abbiamo provato. Vedremo se interesserà al pubblico. 

Il romanzo e il film. Non sono un assassino è il romanzo di Francesco Caringella da cui è tratto l'omonimo film diretto da Andrea Zaccariello, anche autore della sceneggiatura con Paolo Rossi, che sarà presentato il 28 aprile al Petruzzelli di Bari nell'ambito del Bif&st diretto da Felice Laudadio. Un legal thriller, dal 30 nelle sale, interpretato da Riccardo Scamarcio, Alessio Boni, Claudia Gerini, Sarah Felberbaum e Silvia D'Amico, prodotto da Pepito Produzione, Viola Film, Rai Cinema. È un viaggio fra tribunali, camorra pugliese e un'intricata rete di bugie. Il prossimo romanzo, in uscita il 4 giugno, di Caringella, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, si intitola Oltre ogni ragionevole dubbio (Mondadori, pp. 272, € 16), nell'ambito del progetto sui 90 anni dei gialli Mondadori che per tutto l'anno pubblica gialli inediti accanto a ristampe di titoli storici

Fonte: La Lettura 07/04/2019


07/04/2019

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