Marcello Simoni: «Siamo cacciatori di misteri, per questo i miei romanzi affascinano tanti lettori»


La nuova saga del vincitore del Premio Bancarella è ambientata nella Firenze del Quattrocento e comincia con L'eredita dell'abate nero. Eccone il segreto
«Siamo cacciatori di misteri, per questo i miei romanzi affascinano tanti lettori»
«Mischio storia e finzione per distrarvi dalla realtà di tutti i giorni», dice lo scrittore Marcello Simoni, «a tutti piace ritornare bambini»

di Benedetta Sangirardi

Dopo il trittico dedicato all'abbazia di Pomposa e agli intrighi della Ferrara trecentesca, tra cavalieri impavidi e monaci spergiuri, L’eredità dell’abate nero è la nuova saga letteraria di Marcello Simoni, ambientata a Firenze nel XV secolo, con il giovane ladro Tigrinus come protagonista. Già vincitore del 60esimo Premio Bancarella con il suo libro d'esordio, Il mercante di libri maledetti, Simoni è oggi uno dei romanzieri d'avventura più amati, con oltre un milione di copie vendute solo in Italia e traduzioni in ben diciotto Paesi. La ricetta del successo? Nei suoi romanzi c'è un ritmo avvincente, personaggi credibili come eroi contemporanei, una fantasia che miscela Salgari con Dumas, Corto Maltese e il noir. Lo abbiamo incontrato.

Già con il tuo libro d'esordio ti sei affermato come uno dei romanzieri d'avventura più amati. Come ti sei spiegato questo successo?

«Ho impiegato un po' per dare una giustificazione a tutto questo. Credo di muovermi in una fascia di narrativa che non è facilmente identificabile. I miei sono romanzi di ambientazione storica, ma hanno un ritmo avventuroso e sono anche dei thriller. Questa commistione di ingredienti, dosati nel modo giusto, è piaciuta al pubblico. E poi c'è un "trucco": i miei libri hanno alle spalle tantissimo lavoro dedicato alla ricerca storica, uno studio che però cerco di non far mai pesare sul lettore, al quale cerco di dare solo alcuni elementi per descrivere l'ambiente in cui si muovono i personaggi. Voglio che poi metta in gioco la sua creatività e giochi di fantasia».

Da dove deriva questa passione per la storia?

«Ho sempre letto molto, sin da ragazzino, soprattutto romanzi horror, ma in modo svincolato dalla storia. Poi durante l'università ho iniziato a studiare archeologia, ho approfondito la storia del Medioevo, la filologia. E ho capito che gli oggetti, come tutti i dettagli che hanno caratterizzato la nostra storia, possono essere un ottimo materiale narrativo. Dopo l'università ho iniziato a fare il bibliotecario, e iniziare a scrivere è stata un po' una forma di ribellione alla vita quotidiana, a quel lavoro impiegatizio».

Chi sono i protagonisti della nuova saga che parte con L'eredità dell'abate nero?

«Mi sono divertito a usare personaggi storici non convenzionali. Leggiamo, di solito, storie di cavalieri, e invece io ho voluto come protagonista un ladro molto particolare di nome Tigrinus. Lui è uno che non ruba per fame, per necessità, ma per una specie di ricerca di libertà. È una persona che vuole affermare se stessa senza seguire le regole. In una società che imponeva modelli molto forti, in un periodo storico non tenero con i fuorilegge, il protagonista sceglie una vita "di protesta". Insomma, volevo un Arsenio Lupin che vivesse nella Firenze del Quattrocento».

Firenze: come mai hai scelto l'età dei Medici?

«Un po' per vendicarla. Dopo aver visto la serie televisiva dedicata ai Medici, ho voluto davvero descriverla come si deve. Credo che la TV abbia perso una grande occasione per raccontare la culla dell'arte, della filosofia, della creatività, dell'architettura. Ho trovato un racconto televisivo freddo, senza alcuna introspezione. In quegli anni Firenze è una città che è riuscita a estendere le proprie influenze in tutto il mondo, non è solo il Duomo e poco altro».

Nel giallo vengono usati anche diversi termini propri di quel tempo. Una scelta azzardata o un modo per fare immergere ancora di più il lettore nella storia?

«A me piace mangiare piccante e credo che un pizzico di pepe nelle pietanze le renda ancora più saporite. Le parole antiche sono poche, ma credo siano servite per farci gustare meglio quell'epoca».

Sin dalle prime righe stuzzichi la curiosità con personaggi inventati mischiati a verità storica. Come funziona la ricetta finzione-verità?

«Fare interagire personaggi inventati con quelli realmente vissuti rende a mio avviso più credibili quelli di finzione. Io mi muovo sempre nella sfera della verosimiglianza. Bisogna però sapere fino a che punto si può osare senza distorcere la realtà che stiamo raccontando. Ho voluto descrivere la figura di Cosimo de' Medici per come é stata realmente. Nella serie televisiva ne esce una persona quasi ingenua, un ragazzino che voleva fare l'artista e non voleva diventare banchiere. E invece Cosimo nasce con la vocazione nei confronti del denaro e l'amore per i libri. Un genio: il Leonardo da Vinci della finanza e della politica».

Il giallo, l'ambientazione medievale, il mistero che si intreccia con la morte e con la storia. È questo che conquista il lettore?

«Siamo cacciatori di misteri, un po' per distrarci dalla noia di tutti i giorni. Siamo attratti dal fatto che in qualche parte, in qualche epoca storica, in qualche sotterraneo, in qualche castello ci sia un mistero ancora da scoprire che magari spieghi meglio chi siamo e da dove veniamo. Tutto ciò è congenito all'essere umano. E credo anche che sia un modo per farci tornare bambini. Un'alternativa allo smartphone, al traffico, alla vita frenetica, una evasione in cui ci curiamo della nostra fantasia e che ci permette di riscoprire il fascino di quando eravamo più giovani».

Che effetto fa essere autore di best seller?

«Lo prendo come un gioco. Cerco di tenere molto distinta la vita dello scrittore da quella del Marcello Simoni in carne e ossa. Si parla spesso del piacere di leggere, poco di quello di scrivere. Per me scrivere e un gioco. Serio».

Fonte: Vero 04/08/2017


04/08/2017

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