Matteo Strukul, da Padova ai bestseller globali


di Valerio Millefoglie

L’infanzia da «lettore folle». Gli studi di giurisprudenza. E poi il successo mondiale con la saga dei Medici.
Ecco come nasce un autore italiano da 300 mila copie.

PADOVA. Siamo seduti al Gran Caffè Diemme, in piazza dei Signori. Una targa sul muro esterno avvisa che «è vietato di lordare sotto pena di multa o di arresto»: nell'Ottocento questa si chiamava piazza Unità d'Italia, in città c'erano più birrerie che osterie e il caffè era la sede del quotidiano L'Euganeo. Matteo Strukul fa quello che fa nei suoi libri: ricostruisce la storia, racconta il passato. La sua trilogia I Medici, premio Bancarella 2017, ha venduto 300 mila copie ed è in corso di traduzione in undici Paesi, dalla Germania al Canada, dall'America Latina alla Corea del Sud. Il quarto volume, Decadenza di una famiglia, è appena uscito per Newton Compton.

Torniamo al presente per raccontare la saga della vita di Strukul. «Vengo da una famiglia di professori. Mio padre insegnava chimica inorganica alla Ca' Foscari di Venezia: mia madre lettere alle medie e al liceo. Tutte le mie zie erano professoresse di liceo e i loro mariti docenti universitari» dice, come in un albero genealogico messo in apertura a uno dei suoi romanzi. «Da piccolo, quasi leopardianamente, mentre tutti giocavano io tendevo ad ammalarmi. Non sapevo ancora leggere ma sapevo ascoltare le storie che mi raccontavano». Il primo libro che ricorda di aver letto è l'Iliade. Il padre tornava a casa con Emilio Salgari. Il corsaro nero e i pirati della Malesia dividevano la stanza con lui e con suo fratello minore. In camera c'erano il poster di una tigre, «in onore delle tigri di Mompracem», e uno di Andre Agassi, «il mio campione sportivo preferito, per anni ho comprato tutti i completini della Nike che indossava lui, è stata la rockstar del tennis». I suoi due sogni di gioventù erano diventare uno scrittore o una rockstar, cantava e suonava l'armonica negli Stregoni della Scoffera, band attiva durante il periodo dell'università. Ha studiato giurisprudenza, ma il dottorato l'ha portato sulla strada dei fratelli Grimm. Ha trascorso un semestre a Marburg, città dove i Grimm avevano insegnato e da dove comincia la cosiddetta strada delle fiabe. «Penso che tutta la mia vita sia filtrata dalla lente della letteratura. Il primo posto dove sono stato in Spagna è stato Toledo, perché ci facevano le spade, ero nella Mancia di Don Chisciotte. A New York cercavo i Five Points ed Ellis Island, che mi riportavano ad un autore che adoro, Luca di Fulvio».

In Transilvania ha ritrovato le origini del suo cognome. «Strukul, un ufficiale dell'Impero austro-ungarico, durante la dominazione ha generato una stirpe in Italia. Veniva dalla Transilvania ungherese. La prima volta ci sono andato perché mia moglie voleva vedere il Transilvania International Film Festival e io ho colto l'occasione perché stavo iniziando a scrivere un romanzo ambientato fra Russia e Medioevo. Da allora ce ne siamo innamorati. Quando esci dalle città ti sembra di entrare nel Cinquecento, vedi i pastori con il carro, i cavalli, i muli, i branchi di oche che attraversano la strada. Mi piacerebbe comprare una fattoria lì, ma verrei sbranato dai lupi». Si sono innamorati anche di Berlino, dove hanno acquistato casa nel 2010, e dove trascorrono quattro mesi l'anno.

Tutti i volumi della saga dei Medici si aprono con una dedica a Silvia, sua moglie. «Penso sia la persona che mi ha salvato. Più di tutti mi ha aiutato a credere nella mia scrittura, già quando lavoravo per le riviste musicali: diceva che era ciò che sapevo fare meglio. È stata sempre la mia prima lettrice: mi ha fatto riscrivere il diario della protagonista del romanzo La ballata di Mila perché, rideva, una donna non si sarebbe mai espressa in quel modo. Mi aiuta ad avere degli ottimi personaggi femminili. È una donna forte e casualmente i miei personaggi femminili hanno sempre una forte personalità».

Un'altra storia di donne: alla fine di una presentazione una signora prende dalla borsa la trilogia dei Medici e dice: «Ti chiedo una dedica per mia figlia che li ha divorati ma che oggi non è potuta venire». Poi ne tira fuori un'altra: «Questi sono per mia madre che li ha letti e si è entusiasmata: lei invece di sedici anni ne ha ottanta». Li mette via e tira fuori ancora altri tre libri: «E queste sono le mie copie». In quel momento Strukul ha capito di aver raggiunto tre generazioni.

Di guadagni non si parla fra gentiluomini. Strukul la mette così: «Nella fiction della Rai Brunelleschi era interpretato da Alessandro Preziosi, ma in realtà era un uomo calvo, coi denti guasti, che indossava una tunica rossa spesso macchiata, che non si cambiava mai. Era la quintessenza dell'artista completamente votato all'arte, che ci crede a tal punto da dimenticarsi il resto. Io non sono come Brunelleschi. Vado dal dentista, vado dal barbiere ogni tanto, mi sono comprato un completo, non sartoriale, e ho preso un bell'anello per mia moglie. Faccio una vita normale come tutti ma faccio anche una cosa che non fanno tutti, perché il mio lavoro è tale che anche quando non sto scrivendo, sto scrivendo».

Per me che sono abituato a leggere fra le righe dei romanzi le vite degli scrittori, a cercare un male oscuro in cui riconoscermi da lettore, è interessante capire cosa ci sia di strettamente personale in una saga storica come i Medici. Dunque glielo chiedo: cosa trovo di te in questo libro? «Penso che ci trovi l'amore per un certo tipo di letteratura. Sono uno scrittore perché sono innanzitutto un lettore. Tim Willocks e Dumas sono i miei eroi personali, lo dico sul serio. I miei genitori mi regalavano i libri di Dumas, di Salgari, e mi duravano due giorni, ero un lettore folle. Volevo essere come quegli scrittori. Sono sempre stato un tipo solitario. Mi affeziono alle persone ma poi riesco a stare serenamente da solo per periodi anche molto lunghi, mi sono costruito un mondo interiore forte».

La Torre dell'Orologio scocca l'ora. Dopo qualche momento di silenzio Matteo Strukul dice: «Mio fratello ha fatto scelte solide. Fa il medico ortopedico». Per lui invece giurisprudenza è stata una scuola di scrittura, «gli esami sono sempre scritti e devi lavorare molto sull'efficacia della lingua. Devi imparare a comunicare le cose importanti immediatamente al giudice, che per definizione non ha tempo, e in modo molto preciso, il che non significa che l'esposizione non possa essere colta, non possa avere una sua eleganza».

A suo padre è piaciuto il secondo volume dei Medici, perché ci sono più azione e più sangue. La madre ha preferito quello dedicato alla regina Caterina. Una coppia di anziani si ferma al tavolino del Caffè; commentano entusiasti: «Quanto sei bravo, continui con i Medici, eh?». La donna dice: «Ho visto anche la fiction, mi piace». Poi si rivolge a me: «Andava agli scout con mio figlio. Hanno fatto una caccia al tesoro in centro che è stata memorabile, se la ricordano tutti». Tutti gli enigmi da risolvere li aveva scritti Matteo. «Prima o poi», conclude la signora, «scriverai anche un libro sugli scout?».

Fonte: Il Venerdì 15/12/2017


15/12/2017

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