Mi sento il nuovo Salgari, tradotto in venti Paesi


MARCELLO SIMONI. L'archeologo che ha portato il noir medievale nella top ten dei libri più venduti

di Fabrizio Esposito


Inventore di grandi serie noir del Medioevo, Marcello Simoni è nella top ten dei libri più venduti in Italia con II patto dell'abate nero, secondo tomo della Secretum Saga. Simoni, lei scandaglia il Medioevo senza sciatterie e con una grande competenza. Nonostante lo stereotipo dell'epoca buia, sono i secoli ideali per uno scrittore di thriller storici. 

Qual è stata la scintilla iniziale?
Proprio la volontà di dimostrare che il Medioevo non era una sacca di "secoli bui", ogni epoca contiene la sua giusta dose di luce e di oscurità. I mille anni che vanno dal declino dell'Impero romano (il cosiddetto Tardoantico) al fiorire del Rinascimento sono un lungo periodo di incubazione in cui l'uomo inizia a guardare il mondo, la società e persino Dio attraverso un nuovo modo di pensare. Un pensiero fortemente connotato dal simbolo, come ci dimostrano Dante Alighieri e Tommaso d'Aquino. Le suggestioni derivate dall'Evo di mezzo sono però innumerevoli, e vanno dalla nascita delle università ai rapporti, non solo conflittuali, tra Oriente e Occidente. È grazie agli arabi infatti che apprendiamo l'algebra, rivoluzioniamo la geometria e la medicina. Non a caso, i protagonisti dei miei romanzi sono sempre "a cavallo" tra questi due mondi. 

Il paragone con Ken Follett è quello che si avvicina di più a un autore come lei che vende tantissimo?
Se cerchiamo confronti con i grandi nomi, mi sento forse più vicino a scrittori come Emilio Salgari e Clive Cussler. Al pari di Falcones, Ken Follett entra nel Medioevo attraverso saghe familiari e vicende amorose che fanno della Storia uno sfondo ben documentato, che "avvolge" la trama come una sorta di alone rassicurante. Il mio approccio è più avventuroso. Il Medioevo che descrivo trascina i miei personaggi in vicende di corsari, di fuorilegge e di viaggi senza fine. Senza contare che, come Cussler, io non mi baso sulla mera documentazione, ma su ciò che ha definito il mio modo di pensare fin da prima che diventassi un narratore. La mia esperienza di bibliotecario e di archeologo ha fatto sì che sviluppassi nei confronti delle culture antiche una sorta di familiarità. Proprio come per Cussler la vita di mare. 

Il suo secolo prediletto?
Qualsiasi epoca storica va bene, purché sia lontana dallo squillare dei cellulari, dalla tv e da Internet. Reputo che negli ultimi 200 anni l'uomo abbia iniziato a pensare e a concepire la realtà in modo differente rispetto a quanto accadeva in precedenza, e ciò grazie al boom della tecnologia che, se da un lato ci ha dato sicurezza, dall'altro ha impoverito la nostra creatività e il nostro modo di ragionare. L'immaginario dell'uomo contemporaneo è un loop omologato, prevedibile, ripetitivo, perché si nutre di una cultura di massa fondata su cliché sempre più banali e facili da assimilare. Mi capirà quindi se trovo più avvincente, e autentica, la trama che parte da un bestiario medievale o da un trattato di alchimia del XVII secolo.

Nel Patto dell'abate nero si comincia con Alghero: il ghetto ebraico, l'influenza catalana. Lei, al solito, ricostruisce tutto con cura. 
La visione che offro dell'Alghero ebraico-catalana del XV secolo è parziale, visto l'impianto avventuroso del mio romanzo. Gli ebrei del Quattrocento giocarono un ruolo di predominanza in questa "villa" fortificata sul mare, ma ciò non accadde in nome della tolleranza, bensì del profitto economico che gli ebrei stessi furono in grado di assicurare al re d'Aragona. La paura del diverso, purtroppo, è un male destinato a morire soltanto con l'uomo. Con l'uomo ignorante, mi correggo, ovvero quel genere di individuo destinato a portare sempre con sé i veri secoli bui. 

Oggi si dice che stiamo tornando al Medioevo per indicare il buio totale di valori. 
Se oggi guardo fuori dalla finestra, vedo molto più buio di quanto non ce ne fosse nel Medioevo. Per non parlare, poi, delle rare volte in cui accendo la tv... 
Con l'abate nero, siamo anche nella Firenze medicea. Lei tratteggia Cosimo, banchiere e mecenate, come un uomo aspro, talvolta violento e senza scrupoli.
In altre parole, tratteggio il vero Cosimo de' Medici. Difficilmente quell'uomo avrebbe potuto sopravvivere ai suoi nemici e diventare un grande, se fosse stato diverso. Cosimo il Vecchio era disincantato, nato col talento del denaro e della persuasione. Fortunatamente aveva anche la passione per i libri e per l'arte, e ciò lo rende diverso, anzi migliore, dalla maggior parte degli uomini di potere della nostra epoca. 

Lei è un autore di bestseller: a quanti milioni di copie è arrivato, in quanti Paesi è tradotto? 
Stiamo sfiorando i due milioni e venti Paesi esteri, ma ogni romanzo è sempre come se fosse il mio primo. Il trucco, anzi l'ambizione, è quella di voler continuare a stupire i miei lettori. A portarli dentro storie che sappiano sempre stupirli come bambini. 

Qual è il libro più misterioso del Medioevo? 
C'è l'imbarazzo della scelta, ma d'istinto mi viene in mente un titolo che, pur nutrendosi della simbologia medievale, vede la luce nel 1499. Mi riferisco all'Hypnerotomachia Poliphili: un romanzo allegorico decorato con 169 xilografie di Aldo Manuzio. È un preziosissimo incunabolo che si affaccia ancora al gusto per l'enigma nato nei secoli bui. 

Tutto incrocia la fede cattolica nei suoi libri: che cos'è una città senza cattedrale, per citare Giovanni da Fiesole? 
Una nave senza albero maestro, mi verrebbe da rispondere. O forse una città che vuole appartenere più agli uomini che a Dio. E considerato ciò che a volte è stato fatto in nome di Dio, forse non sarebbe un concetto del tutto sbagliato.

Fonte: Il Fatto Quotidiano 03/08/2018


03/08/2018

Scarica file PDF allegato