Michelangelo scopre la "Pietà" ma rischia di finire sul rogo degli eretici


Il genio rinascimentale protagonista del nuovo thriller di Strukul: braccalo dall'Inquisizione deve salvarsi nella Roma corrotta e assassina

Di Sergio Pent


Tra narrativa e Storia, finzione creativa e realtà documentata, ipotesi fantastiche e accadimenti esaltati dalle suggestioni letterarie, molti personaggi celebri hanno assunto ormai un loro ruolo di eroi postumi a cui ogni scrittore attribuisce imprese, meriti, interventi essenziali nel percorso dei grandi eventi, con lo scopo primario di un intrattenimento che in certi casi funziona, diverte, vende. Dopo la fortunata saga dei Medici Matteo Strukul si cimenta con l'immenso Michelangelo, figura ancora poco frequentata dalla narrativa del «reperto storico». 

Con il romanzo michelangiolesco Strukul ci conduce invece in un periodo di poco successivo, tra il 1542 e il 1547. Seppur svelto e convincente nelle sue incursioni fantastoriche, mettersi in gioco con il pittore del Giudizio Universale e lo scultore di monumenti eterni come il Mosè e la Pietà poteva rivelarsi un tranello, dal quale il nostro narratore ha saputo sfuggire, ricreando soprattutto un mondo - quello ecclesiastico di metà Cinquecento, con i conflitti tra cattolici e protestanti a ridosso del Concilio di Trento - in cui Michelangelo, ormai prossimo ai settanta, si muove come una pedina essenziale nel dirimere contrasti, lotte e vendette. Preso in mezzo suo malgrado in questioni perfidamente politicoreligiose, tra il monumento funebre per la tomba di papa Giulio II, al quale lavora controvoglia da anni, e l'amicizia con Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, che lo avvicina al movimento protestante tramite il cardinale inglese Reginald Pole, il sommo artista, peraltro venerato da tutti i potenti, si trova a gestire una situazione nella quale anche la sua arte rischia di diventare merce di scambio per scelte epocali.

Lungi dall'agire come un Indiana Jones della Roma papalina, Michelangelo deve comunque districarsi in trappole altolocate, laddove le sue mosse vengono seguite da una splendida fanciulla del popolo - dal soprannome emblematico di Malasorte - indirizzata sulle sue tracce dal cardinal Carafa, a capo della Santa - si fa per dire - Inquisizione. Il versante artistico è comunque ben presente, tra i ritocchi faticosi, fisicamente devastanti del Giudizio Universale e la conclusione della mitica statua di Mosè, per la quale l'autore non poteva esimersi dall'inevitabile «perché non parli?». Ma a prevalere è soprattutto l'azione, in un gioco sapiente e mai gratuito di intrighi dai quali emergono tentazioni di cambiamento all'interno di una eternizzazione dei poteri forti della Chiesa, in un momento storico convulso e inquieto dove non era affatto sorprendente sentire parlare del figlio di un papa. I contrasti provocano vittime e storture, i cattivi non sono sempre quelli che vogliono smuovere qualcosa, e la stessa Malasorte, divenuta amica - non sveleremo come - di Michelangelo, è uno di quei personaggi veri e convincenti che arricchiscono una narrazione comunque disinvolta e coraggiosa. Il personaggio del grande artista spicca attraverso una scrittura snella che non esalta ma neanche ammicca, caratterizzando nella fantasia il possibile ritratto dell'uomo in bilico sull'orlo di un possibile cambiamento epocale, in cui anche la sua somma arte diventa oggetto di scambio del potere. Addii strazianti, domande irrisolte: guardando Roma dall'alto, il vecchio Buonarroti progetta un altro lembo di futuro e - a quanto si capisce - Matteo Strukul un altro episodio di questa saga azzardata ma godibile e onestamente rispettosa.

Fonte: TTL 17/11/2018


17/11/2018

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