Niccolò Palombini: "Vi racconto perché io non ho più paura"


Come un supereroe, a 18 anni trasforma in un libro la sua guerra (vinta) contro il “mostro invisibile” della malattia: “Crescere non significa aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni”

Ilaria Zaffino su Repubblica.it

“È solo una parola, ma diventa violenta, una pietra scagliata con forza, ed è come essere colpiti in pieno volto”. Non usa mezzi termini Niccolò Palombini quando racconta la malattia che a soli sedici anni ha trasformato la sua vita di ragazzo in una guerra senza esclusione di colpi, come quelle combattute dai supereroi – è un’immagine che userà spesso – contro un mostro che all’inizio è invisibile e si chiama osteosarcoma. “Attraversare la malattia è come passeggiare in piena notte nel mezzo della foresta amazzonica”, scrive ancora in Io non ho più paura, diario di quei lunghi mesi di inferno, trasformato poi in un libro che esce ora per Newton Compton, “si vive su equilibri instabili”. Un resoconto sincero, doloroso in molti punti, che testimonia coraggio (anche solo nel voler ripercorrere con le parole quell’esperienza che si è conclusa con un lieto fine) e soprattutto una maturità disarmante. Come quando snocciola frasi del tipo: “Crescere non significa aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni”. Oppure: “La chemio è una macchina della verità che mette a nudo la tua anima e abbassa le difese non solo immunitarie: ti strappa dalla faccia quelle maschere di cartone che montiamo per sentirci vincenti, accettati, uniformati. Ti dice chi sei e le risposte sono implacabili, a volte anche più dolorose della terapia stessa”.

Ma nel racconto di Palombini, che nel titolo cita esplicitamente, per quanto inconsapevolmente, un romanzo famoso (di Niccolò Ammaniti) uscito esattamente vent’anni fa da cui è stato tratto un film altrettanto famoso (di Gabriele Salvatores), non si parla solo di dolore. C’è spazio per l’amicizia, la fratellanza (Palombini ha due fratelli gemelli che hanno condiviso con lui il percorso della malattia), la felicità che “o la si costruisce dentro di sé o non la si troverà mai. Per me oggi la felicità è respirare, rincorrere un pallone, abbracciare i miei fratelli, pensare, scegliere”. Oggi Niccolò Palombini, Nicco per gli amici, ha diciotto anni e può cominciare a guardare di nuovo con speranza al futuro. Quest’anno ha la maturità, come ci racconta quando lo abbiamo raggiunto tra una lezione di Dad e l’altra.

Perché questo libro?
“Tutto è cominciato in ospedale, le giornate erano interminabili mentre ero ricoverato. Il suggerimento me lo ha dato una dottoressa, che mi ha detto: prendi un pezzo di carta e comincia a scrivere le tue sensazioni, guarda che ti aiuta. Allora ho comprato questo quaderno e ho iniziato a scrivere tutto quello che provavo in quel momento. Era diventato una sorta di diario. Di più, è stato il mio psicologo: a un certo punto non parlavo più con nessuno e quel che provavo lo appuntavo sul quaderno. Ho scritto sempre, giorno per giorno”.

Il racconto è articolato come una lunga lettera. A chi si rivolge?
“A tutti quei ragazzi, anche più piccoli o poco più grandi, che stanno combattendo contro lo stesso mostro che ho affrontato io. Anzi, adesso con il Covid la lotta è diventata ancora più dura. Per esempio, i genitori non possono più dormire in ospedale accanto ai figli ricoverati. Voglio dare un esempio e dire: io ce l’ho fatta. La nostra forza è tutto in questi momenti”.

A proposito di genitori: quanto è stata importante la presenza della tua famiglia, dei tuoi due gemelli?
“Ero da solo contro un mostro invisibile ma dovevo combattere per tre: ho scritto nel libro. La mia malattia è stata una botta per tutti. I miei genitori si davano il turno: la mattina mia madre era con me in ospedale, la sera arrivava mio padre, i miei fratelli spesso stavano da soli. È stata dura per tutti. Abbiamo sempre fatto tutto insieme noi tre gemelli: sport insieme, scuola insieme. Quando scopri che il tuo gemello sta male è come se accadesse a te. Dovevo essere forte anche per loro. Abbiamo sempre pensato che essendo tre gemelli saremmo anche morti insieme e io non potevo arrendermi”.

In alcune pagine sembra la sfida di un supereroe che non perde la speranza, l’ironia, persino la voglia di scherzare…
“I medici mi hanno sempre detto tutto in faccia e chi combatte contro questa malattia è davvero un supereroe chiamato ad affrontare una grande impresa”.

Con in tasca però l’arma del sorriso. Hai scritto: “Sorrido per legittima difesa. Ho scelto di sorridere sempre, dei miei dolori, della mia stanchezza, della mia testa senza capelli. Sorridi perché se lo fai nessuno si accorgerà dei tuoi demoni e loro a poco a poco perderanno importanza”…
“Sì perché nonostante tutto devi sempre sorridere nella vita, se ancora sei lì devi sorridere. Io sorridevo anche per il solo fatto di svegliarmi il giorno dopo, apprezzavo ogni singolo momento”.

Infatti in questo “diario”, non si parla solo di malattia. Ma anche di felicità, di amicizia, in una parola: di vita.
“Con la malattia capisci veramente chi sono le persone che hai intorno: possono scegliere se rimanerti accanto nonostante la malattia o andare via. Io ho provato entrambe le cose: ci sono state persone che durante il percorso mi hanno abbandonato e altre mi sono rimaste accanto sino alla fine. Per questo dico: ‘L’Amico lo riconosci quando le battaglie della vita ti scaraventano con la faccia sulla sabbia e ti ritrovi solo, a quel punto una mano ti solleva’, ecco quello è l’amico, quello vero”.

Per essere così giovane sai essere anche molto critico nei confronti della solitudine di uno schermo che i tuoi coetanei “deliberatamente scelgono nelle chat e mai potrà sostituirsi al calore di un abbraccio”.
“Ho capito che la vita va vissuta a pieno, mentre rimandiamo troppo al giorno dopo. Invece, se devi fare qualcosa, fallo ora. Le piccole cose che per molti sono scontate adesso per me non lo sono più. Se faccio una cosa la voglio fare al cento per cento e me la godo il più possibile”.

Come devolvere i proventi del libro ai bambini di strada etiopi. C’è un motivo particolare per questa scelta?
“Mentre ero in ospedale ho conosciuto questa associazione che aiuta a rieducare i bambini che vivono in strada in Etiopia. Mi ha incuriosito e, nel mio piccolo, vorrei dare anch’io una mano a questi ragazzi”.

Un’ultima frase del libro: “La vita è questo: affondare per ore e riemergere in un minuto. Precipitare nove volte e rialzarsi dieci. Soffrire tanto e sorridere il doppio”. Sembra una massima giapponese.
“Avevo letto qualcosa di simile: cadi otto volte e ti rialzi nove. Mi ha colpito molto e mi ha ispirato. Nella vita devi sempre combattere, nonostante quello che ti viene detto, ci devi sempre provare”.

E la tua storia lo dimostra. Una storia di resilienza che, “proprio in quanto italiani, ce l’abbiamo nel nostro dna e ci viene in soccorso quando più ne abbiamo bisogno”. Hai scritto anche questo.
“È la Storia che lo dimostra. Gli italiani si sono sempre rialzati”.


19/04/2021

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