Prepariamo i nostri figli al digitale "Tra Turing e il cloud, c'è molto da insegnare"


LO PSICOLOGO JORDAN SHAPIRO BACCHETTA I PREGIUDIZI DI GENITORI E INSEGNANTI

di Marco Pivato


In Italia otto bambini su 10, tra i tre e i cinque anni, sanno usare lo smartphone dei genitori. E sono mamma e papà a ricorrervi per calmarli nel primo anno di vita (nel 30% dei casi) e poi durante il secondo (nel 70%): così dicono i dati della rivista «Pediatrics». Ma gli adulti sono consapevoli dei rischi?

Solo un terzo chiede consiglio al pediatra, il quale ha le idee chiare: no a smartphone e tablet prima dei due anni, durante i pasti e prima di andare a dormire. E limitare l'uso a massimo un'ora al giorno nei bambini tra i due e i cinque anni. Ma limiti e proibizioni sono solo una parte della ricetta. Lo spiega, in controtendenza rispetto a certe demonizzazioni, il bestseller dello psicologo e filosofo Jordan Shapiro: «Nonostante la tv, non mi sembra che a partire dai baby boomers in poi ci siamo tutti rimbecilliti - spiega -. Mentre la tv è uno strumento passivo, i social sono interattivi. Da questi impariamo a esplorare il nuovo mondo che stiamo creando e nel quale vivranno».

L'importante - sottolinea - è non lasciare i piccoli da soli, in questa scoperta, ma accompagnarli e chiedere loro: «Cosa stai cercando? A cosa stai giocando? Perché ti piace?». Un coinvolgimento necessario, perché è impossibile che i nostri figli crescano senza questi dispositivi e i divieti non hanno mai funzionato. Sarebbe un problema solo se gli schermi sostituissero il gioco all'aperto e quello fisico, ma questo valeva anche prima, con la tv. Quindi educare i bambini ai dispositivi mobili non solo è giusto, ma è utile al loro futuro: già oggi la dimensione virtuale è habitat sociale, ricreativo, lavorativo e affettivo. Figuriamoci domani.

Gli adulti, poi, tendono a fare sempre lo stesso errore: giudicare il presente, o peggio il futuro, con i valori del passato. «Parliamo di dipendenza dai social e di isolamento, ma sottovalutiamo cosa sta succedendo: siamo sicuri che creare musica elettronica o progettare modelli 3D nel cloud sia diseducativo?».  

Oggi molta delle generazione «analogica» non coglie quanto velocemente corra l'evoluzione culturale dei nativi digitali: avete presente quanto sia difficile per noi adulti, a volte, valutare il tono dei messaggi di testo, dal momento che è assente la mimica facciale? Invece - avverte il ricercatore - «i ragazzi sono in grado di articolare comunicazioni molto più sfumate, attraverso le chat, perché hanno più pratica di noi. Con tutta probabilità sarà così che comunicheremo sempre più spesso: sono "avanti" e non lo capiamo». 

L'adulto del futuro (per non dire del presente) dovrà quindi abbandonare i codici tradizionali per il nuovo «volgare», il linguaggio del mondo globale. Non solo. Dovrà ottimizzare il tempo per districarsi nel sovraccarico informativo della rete e di chissà quanti altri mondi ancora da inventare. Per questo - sostiene Shapiro - deve fare esercizio. Per esempio: quante email riceviamo ogni giorno? Di queste quante ne leggiamo e a quante rispondiamo? Ci documentiamo sul web, per esempio per lavoro o per le ultime dritte finanziarie, ma come selezioniamo le fonti affidabili? «I ragazzi, forse, non hanno la progettualità e l'esperienza degli adulti, ma non mancano loro le energie: sanno muoversi più rapidamente di noi in rete e lo farebbero anche se gli mettessimo il lucchetto allo smartphone. Sta a noi fornire loro il metodo giusto e insegnare le priorità per dosare il tempo». 

Come un ventenne di oggi conosce l'inglese e sa fare calcoli più o meno complessi, mentre nell'anno dell'Unità d'Italia sarebbe stato probabilmente analfabeta, tra un decennio potrebbe sapere scrivere codici informatici meglio dell'alfabeto stesso: «L'uomo impara nuove abilità con facilità, perché la selezione naturale ha reso elasticità e adattabilità condizioni fondamentali alla sopravvivenza». Quindi, dopo la bacchettata ai genitori, il rimprovero agli insegnanti: la scuola educa attraverso i paradigmi del passato. «La campanella, le lezioni in pacchetti da 50 minuti, l'ordine, il silenzio e l'obbedienza: non vi ricordano la catena di montaggio?». 

Nel mondo che è e sarà avremo a che fare con le Intelligenze Artificiali. «Dovremmo valutare non quanto i bambini risolvano le equazioni o ricordino le poesie, ma quanto siano in grado di astrarre e modellizzare i problemi». Il modo di stare in classe, quindi, dev'essere rivoluzionato: studiamo in modo frammentato la storia e ci esercitiamo con latino e scienza come fossero cruciverba, ma nessuno ci parla di Turing e Jobs. D'ora in poi, quando parliamo ai figli, sacrifichiamo un po' di teoria per concentrarci sugli strumenti della creatività: è questa - dice Shapiro - la sfida. 

Fonte: La Stampa 26/03/2019


26/03/2019

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