Turchia, non c’è più solo il Grande Capo


È vero, Erdogan ha vinto ancora. È vero, non era scontato. Ma il voto del 24 giugno ha sancito che il pluralismo è vivo.
Una scrittrice vede i segni di una svolta possibile.


Di Ayşe Kulin

Ho cominciato a scrivere questo articolo per Il Corriere della Sera pochi giorni prima delle elezioni del 24 giugno, quasi sicura che le cose in Turchia sarebbero cambiate. C’era un nuovo protagonista sul palco: il giovane, dinamico, arguto Muharrem Ince, professore di fisica la cui stella, a detta di molti, brilla più di quella del presidente Erdogan e che, secondo me, rappresenta al meglio il partito socialdemocratico, di cui da anni sento la mancanza. Per tutti coloro che ne hanno avuto abbastanza di Erdogan, Ince è come una ventata di aria fresca. Lo stanco e stancante presidente in carica avrebbe finalmente dovuto affrontare una sfida, pensavo. 
E invece, sorpresa!
Erdogan ha vinto di nuovo. E con il 52,52 % delle preferenze. 
Muharrem Ince, per il quale ho tifato tantissimo, si è aggiudicato solo il 30,71 % dei voti, nel momento in cui scrivo questo articolo. 
L’esito non è stato quello che avevo sperato.
In ogni caso, con mio grande disappunto, la questione importante è un’altra. Adesso è il momento di concentrarsi sul perché di questo risultato. La Turchia ne è uscita davvero vincente?
La risposta alla prima domanda è ancora da appurare. Ma alla seconda non si può che dire di sì. La Turchia ne è uscita vincente. 
Continuo a credere che sia “l’inizio della fine” perché adesso in Parlamento siedono non solo i membri dell’AKP, il partito di Erdogan, ma anche quelli di altri cinque diversi partiti. Negli ultimi dieci anni abbiamo ascoltato solo la voce del Grande Capo, ora la musica è cambiata.
E c’è anche un altro motivo per cui la Turchia è uscita vincente da queste elezioni: i curdi (rappresentati dai 67 deputati) hanno finalmente un posto in parlamento, così come è giusto che sia. Sono sicura che anche loro abbiano finalmente compreso che i problemi devono essere risolti nelle aule parlamentari e ai tavoli dei negoziati, non sulle montagne. Ecco un altro successo!
E poi c’è la candidata Meral Aksener, l’unica donna a concorrere per la presidenza, che ha ottenuto il 7,36 % dei voti. Il suo partito, una costola del MHP, il Partito del Movimento Nazionalista (alleato dell’AKP), è come un neonato, venuto alla luce appena prima delle elezioni. Per qualche strana ragione le si è presentato ogni possibile ostacolo e quindi la sua campagna elettorale è filata tutt’altro che liscia. Nonostante ciò, questa intelligente signora dalla lunga esperienza politica si è guadagnata 45 seggi in Parlamento. Anche questa è una vittoria!
Infine, dulcis in fundo, le elezioni si sono concluse in pace.
Sì, c’è stato qualche problema qua e là, ma in questo paese nessuna tornata elettorale ne è mai stata del tutto priva. E sì, ci sono state le solite voci sui brogli, ma niente di verificato. Una volta che mi sono ripresa dalla desolazione della sconfitta, mi sto sforzando di cogliere il lato positivo e non sono poi così sfiduciata, devo ammettere. 
In un mondo in cui l’autoritarismo dilaga, in cui Trump è presidente degli Stati Uniti, il fatto che la Turchia, nonostante sia circondata dai dittatori, dai regimi islamisti e dalla guerra, cerchi ancora conforto nelle elezioni dimostra che la gente continua a credere nella democrazia. 
Molti dei miei concittadini magari non hanno votato per il mio candidato ma l’affluenza è stata molto più alta che negli altri paesi europei o negli Stati Uniti. In quest’ultima tornata si è aggirata intorno al 90%. 
So bene che la nostra democrazia ha avuto e ha tuttora i suoi limiti. Ecco perché molti, che come me speravano in suo miglioramento, sono rimasti delusi. Personalmente mi sentirei più sicura in un governo parlamentare piuttosto che nelle mani di un presidente dal pugno di ferro che non ammette obiezioni. Ma in democrazia è la maggioranza a decidere. 
Sarebbe potuta andare meglio di come è andata il 24 giugno?
Esaminando i risultati elettorali di Istanbul, la vittoria del CHP (il Partito Popolare Repubblicano) a Fatih, un distretto molto devoto e conformista della città, sì, sarebbe potuta andare meglio in tutto il paese. Questo non posso negarlo. Sul motivo di questo fallimento non sono in grado di fornire una risposta: voglio solo accettarlo e andare avanti. 
Devo anche riconoscere che non viviamo più nei romantici anni Settanta e nemmeno negli anni Ottanta. Siamo nel 2018 e i miei problemi non si limitano alla politica turca. Hanno un’impronta globale!

A casa nostra, siamo costretti a sopportare le minacce e le bombe del PKK e dell’ISIS, a ignorare il gioco del gatto con il topo che l’Europa fa con la Turchia (se fossimo stati accettati nell’Unione, insieme ai paesi balcanici, niente di tutto ciò sarebbe mai accaduto), a fare i conti con il fatto che la lira turca continua a perdere valore, a rammaricarci per le disastrose condizioni dell’istruzione e a tollerare con eleganza i problemi di quasi cinque milioni di rifugiati. Io stessa, d’altronde, sono nipote di rifugiati: i nonni paterni venivano dalla Bosnia e quelli materni dalla Circassia, quindi i loro problemi e i loro sentimenti mi sono ben noti. 
E proprio a proposito di rifugiati, non posso non sottolineare quanto siamo stati fortunati nel 1933 ad aprire le nostre università e i nostri cuori ai professori fuggiti dalla Germania di Hitler. Non tutti i rifugiati costituiscono una risorsa così preziosa per la loro seconda casa. Questi professori sono stati dei veri e propri luminari, ognuno nel suo campo, e hanno permesso alla nostra giovane repubblica di acquisire competenze in varie aree accademiche, pur dovendo fare i conti con i loro problemi personali. Ho raccontato la loro storia in Le quattro donne di Istanbul. L’ottimismo, la buona fede, l’eroismo di coloro che negli anni Trenta, a dispetto del nazismo, hanno lottato per un mondo migliore adesso fa parte della nostra memoria storica, ma in quel periodo era facile cadere in tentazione. 
C’era quest’uomo cattivo di nome Hitler e tutti sappiamo che alla fine il bene ha prevalso. 
È molto più difficile capire perché l’umanità oggi si ritrovi a subire altre forme di follia. Le ingiustizie perpetrate dalle avide potenze ai danni dei paesi più deboli, l’orrore della guerra costante, del terrorismo costante, della fame, il global warming… e come risultato di tutto ciò, l’umana tragedia dei rifugiati che incombe su di noi. E non possiamo nemmeno puntare il dito e accusare un solo uomo o un solo paese. Il potere distruttivo di ciò che ci troviamo ad affrontare è troppo grande e complesso per rovesciarlo con delle elezioni, o persino con delle bombe. L’umanità ha bisogno di lunghi anni di duro impegno per sconfiggerlo. E noi, dal canto nostro, nel nostro paese, abbiamo bisogno di lavorare a lungo sulla formazione e l’educazione dei futuri cittadini per riconquistare l’etica che sembra ormai smarrita. Sarà una vera e propria lotta, ma alla fine tutto volgerà per il meglio. 
Spero che le elezioni del 24 giugno facciano virare il Paese in questa direzione. Quali che siano i problemi di natura economica e sociale che abbiamo, con il tempo verranno tutti risolti, ma, per carità, lasciatemi di nuovo vivere in un paese governato dalla Legge, senza la quale non potrei considerarmi un rispettabile essere umano!
Non vedo l’ora che venga meno lo stato di emergenza, cosa che credo comporterà la liberazione degli studenti, dei giornalisti, degli scrittori, dei professori e dei prigionieri politici che sono in galera pur non avendo commesso altro crimine che quello di avere delle proprie convinzioni, delle opinioni politiche, e magari di averle messe nero su bianco. Adesso che in Parlamento sono rappresentati diversi partiti politici, mi aspetto che quanto prima venga ripristinata la Legge. 
Se così non fosse, non voglio vivere in nessun altro posto, diventerò io stessa una rifugiata in patria.  

Traduzione di Clara Serretta 

Le elezioni in Turchia. La Turchia ha votato lo scorso 24 giugno per l'elezione del presidente della Repubblica. Ha vinto il capo dello Stato uscente, Recep Tayyip Erdogan, con il 52,59%. Il rivale meglio piazzato è stato il socialdemocratico Muharrem Ince (30,64%) mentre il leader del Partito democratico del popolo (Hdp), Selahattin Demirtas (in carcere) ha raccolto l'8,4% e Meral Aksener il 7,29%. Erdogan, 64 anni, nato a Istanbul (città della quale è stato sindaco) è il 12° presidente della Turchia moderna.

L'autrice. Ayse Kulin (Istanbul, 1941) ha venduto in Turchia con i suoi libri più di 10 milioni di copie. Nel 2011 l'edizione turca della rivista «Forbes» l'ha definita la scrittrice più influente di tutto il Paese. Ha lavorato come produttrice e autrice cinematografica e televisiva. L’ultimo treno per Istanbul (Newton Compton, 2015) è stato il suo primo libro pubblicato in Italia, con successo di pubblico e critica e ha vinto il Premio Roma; lo stesso editore ha pubblicato anche L'ultimo famiglia di Istanbul (2016). 
 
Fonte: La Lettura 08/07/2018


08/07/2018

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