Guillaume Apollinaire


(questo il nome che dal 1902 adoperò Wilhelm Albert Apollinaris de Kostrowitsky) nacque a Roma nel 1880 da un’aristocratica polacca, Angelica de Kostrowitsky, e da padre italiano, forse un ufficiale borbonico. Legato ai più importanti movimenti d’avanguardia della sua epoca, fu il teorico del cubismo e contribuì a orientare verso il simbolismo la poesia surrealista. Dopo aver girovagato a lungo per l’Europa, nel 1913 si trasferì definitivamente a Parigi, dove morì nel 1918 in seguito alla febbre spagnola.

Introduzione di Riccardo Reim

Le undicimila verghe, scriveva Louis Aragon, non è un libro erotico, è un gioco: «È un libro in cui tutta l’abilità di Apollinaire e la sua conoscenza di una certa volgarità conturbante vengono alla luce a spese della sincerità e della vita. Ma è forse il libro di Apollinaire in cui l’humor si mostra con maggiore purezza».
Nella trama (se di trama si può parlare) galleggiano tutte le immagini e le situazioni tipiche della tradizione del feuilleton, dei romanzi sentimentali di infimo gusto e degli opuscoli erotici d’accatto, immancabilmente ambientati tra grandi alberghi di frontiera, vagoni ferroviari di prima classe e transatlantici di lusso in cui si muovono enigmatiche avventuriere e nobili...